Territorio

Un eremo nel cuore di Torino: la città ospita l’Eremo del Silenzio

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A Torino c’è un posto dove poter accogliere il silenzio. Si chiama, appunto, Eremo del Silenzio.

Il mediatore dei conflitti, Juri Nervo, lo ha pensato come uno spazio in cui le persone possano semplicemente trovare la pace dentro la città: un paradosso quasi immediato con il frastuono caotico delle metropoli.

L’Eremo del Silenzio sorge all’interno delle vecchie carceri torinesi «Le Nuove»: un ex zona detentiva femminile, che accoglieva le donne accusate di crimini terroristici. Si trattava di una struttura in rovina, logorata dal tempo e che richiedeva grande manutenzione.

Oggi quella stessa struttura di corso Vittorio Emanuele II è stata ripulita e sistemata, cercando tuttavia di mantenerne le caratteristiche originali della semplicità e dell’essenzialità.

Di fatti, di primo impatto, i corridoi stretti e le spesse porte in ferro trasmettono ancora una sensazione di opprimenza e pesantezza, tipicamente associate alla condizione nelle carceri.

Coloro che si recano all’Eremo trovano, dunque, uno spazio umile e contenuto. Ma il punto è proprio questo: preservare l’autenticità di quel luogo, affinché le persone riescano a vivere fino al fondo quella «cella», che le costringe a fare i conti con il proprio Io.

Quando ho potuto parlare con Juri, lui mi ha spiegato, inoltre, che uno dei suoi desideri era proprio che l’Eremo rimanesse isolato, quasi «nascosto», sebbene nel cuore della città.

In questo modo, le persone intenzionate a trovarlo, devono in qualche modo procedere per tentativi fino ad arrivarvi.

L’esperienza all’Eremo permette di «chiudersi» entro una cella, come forma di distacco. Qui, le persone scoprono che la ricerca del silenzio, non è che la ricerca di sé stessi.

Nel silenzio si scopre il suono della propria voce, il colore dei propri desideri e perfino il volto delle proprie paure.

L’Eremo del Silenzio diventa così l’ossimoro perfetto: silenzio e caos come facce di una stessa medaglia.

Forse, l’Eremo è un po’ come andare a dormire, quando il rumore della città si fa più silente e si comincia a rimanere soli con i propri pensieri. Tuttavia, come dice giustamente Juri, prima o poi il sonno ha la meglio e, in men che non si dica, è un altro giorno.

Coloro che si recano all’Eremo vogliono, invece, restare svegli o, addirittura, svegliarsi. Qui, attimi di riflessione spesso rubati, possono essere ritrovati tra discussioni di gruppo, osservazioni spontanee e considerazioni personali su quelli che sono i passi della vita.

Ovviamente non manca anche uno spazio appositamente pensato per momenti più riservati. Nella Cappella del silenzio, le persone possono, infatti, dedicarsi alla meditazione solitaria.

Juri la definisce una «detenzione volontaria»: una cura di sé che, ad un primo sguardo, può apparire banale. Ma la giornata lavorativa ed il contatto mediatico a cui siamo costantemente sottoposti, a pensarci, concedono davvero poco spazio all’intimità.

Nasce il Libro «La cella e il silenzio»

Raccontando l’esperienza dell’Eremo del Silenzio è nato il libro «La cella e il silenzio, e altre occasioni di libertà».

Si tratta di una raccolta di e-mail tra lo stesso Juri Nervo e la scrittrice Chiara M. che, in maniera del tutto spontanea, hanno dato vita ad una lunga corrispondenza.

Dopo la lettura del libro «Righe storte», Juri ha sentito il desiderio di esprimere via mail le proprie considerazioni alla scrittrice.

Da qui è nato un crescente interesse per le rispettive opinioni su temi come infinito, silenzio, morte, ma anche amore, rafforzando quel dialogo virtuale.

Le storie lì riportare trasportano tutto il vissuto di coloro che le hanno raccontate, creando un legame con il lettore che, di fronte ai temi «cardine» della vita, non può che esserne inevitabilmente catturato.

Al centro del dialogo anche la cella come «occasione di libertà», in cui affrontare le proprie «carceri personali», in cui riscoprire la semplicità della giornata.

Nel libro, Juri scrive: « Più il luogo prendeva forma, […] più scoprivo me, le mie debolezze, le mie paure, le mie passioni. Più mi conoscevo e più ero libero […] ».

Articolo di Martina Santi

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