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Quei tredici piemontesi a bordo del Titanic (seconda parte)

Da Alessandro Maldera

Aprile 15, 2014

I 13 Piemontesi sul Titanic

13 Piemontesi morti sul Titanic           ( prima parte)

…Il 6 aprile 1912, dal porto di Southampton, quattro giorni prima dell’inizio del primo e ultimo viaggio del Titanic, il cameriere Alfonso Perotti (uno dei 13 piemontesi a bordo del transatlantico) di Borgomanero in provincia di Novara, spedì una cartolina a casa. Doveva essere un giovane ventunenne molto orgoglioso di quell’ingaggio così importante. Probabilmente morì da eroe, lasciando il proprio posto ad una donna su una delle poche e mal gestite scialuppe.

Rinaldo Ricaldone aveva 22 anni e partì da Alessandria in cerca di maggior fortuna. Vestì il grembiule di assistente cameriere per soli quattro giorni. Il suo corpo non fu mai identificato.

La stessa triste sorte toccò a tre suoi coetanei di Novara, della provincia di Verbania, di Cavagnolo che è un borgo sul Po nel Monferrato settentrionale. Angelo Rotta, Giovanni Saccaggi, Giacomo Sesia: tre ragazzi poco più che ventenni, tutti assistenti camerieri alle primissime armi in cerca di pagnotta più sostanziosa rispetto alle prospettive povere e dalla cinghia tirata della provincia piemontese di allora.

Emigranti, giovani intraprendenti che abbandonavano casa con un fagotto ed esploravano il mondo non per piacere ma per lavoro, e per riscattare la propria vita verso ambizioni che da noi all’epoca sarebbero stati solo sogni.

Affogarono tutti e tre, e il mare non restituì mai i loro corpi.

13 piemontesi sul Titanic (seconda parte)

Giovanni Salussiola era originario di Alice Castello in provincia di Vercelli. Lui era un “glassman”, il responsabile dei bicchieri. Balloon per il cognac Hennessy, coppe di cristallo per gli champagne Ruinart e Heidsieck, calici per i vini di Borgogna, bicchierini per il vermouth di Torino.

Il suo paese d’origine nel vercellese ha posto una targa commemorativa alla sua memoria nel cimitero in occasione del centenario dell’affondamento.

Tredici piemontesi partiti, tredici piemontesi affogati.

La sera del 14 aprile, in navigazione con rotta New York, pareva magnifica. Miliardi di stelle pulsavano in cielo che a detta di un sopravvissuto, il giovane Jack Thayer di Filadelfia, “sembrava che volessero staccarsi dal cielo.”

Il mare era insolito, molto calmo, uno specchio d’acqua su cui il Titanic scorreva veloce a 22 nodi come una biglia su un panno di biliardo.

Nel magnifico salone del ristorante A’ La Carte si stava brindando.

I ragazzi piemontesi del maitre Gatti si davano da fare con gli altri connazionali a rendere tutto perfetto. Quella sera del 14 aprile i Signori Widener di Filadelfia offrirono un ricevimento, una festa extrachic per numerosi ladies e gentlemen che viaggiavano in prima classe e che alloggiavano in cabine di lusso o suite principesche in stile Luigi XVI o Impero che nulla avevano da invidiare a quelle dei grand hotel della terraferma.

13 piemontesi sul Titanic (seconda parte)

E’ bello immaginarsi quell’ultima cena elegante.

Gli uomini elegantissimi in frac di alta sartoria che discutevano di finanza, affari, geopolitica. Le dame dell’high society in abito lungo, con coroncine con piume di struzzo, lunghe collane di perle di Tahiti al collo, diamanti alle dita, diamanti alle orecchie, diamanti ai polsi, diamanti ovunque. E i camerieri, tra cui i nostri del Piemonte, agili, scattanti, silenziosi ma veloci a riempire cristalli e servire le sinfonie culinarie della cucina francese orchestrata da Luigi Gatti.

Il menù ci racconta la Belle Epoque in tavola. Ostriche, salmone in salsa di cetrioli, filetto, pollo alla lyonnaise, agnello alla menta, arrosto d’anatra in salsa di mele, piccione arrosto, asparagi in insalata, foie

gras e sedano, pesche al liquore, bignè di cioccolato e vaniglia, gelato a volontà. Sapevano come viziarsi e coccolare il palato, non c’è dubbio. Era la ricca ultima cena data in onore del capitano del Titanic, Edward John Smith, esperto marinaio, commodoro della flotta White Star. Quello doveva essere il suo ultimo viaggio prima di un agiato pensionamento, dopo una gloriosa e rispettata carriera di comandante di transatlantici. Colò a picco con la sua nave.

L’ultima cena sul Titanic, studiata ed immaginata dai posteri, assume la forma di un’affascinante e macabra rappresentazione della fine della Belle Epoque, il periodo d’oro dell’Europa prima della grande guerra che sarebbe scoppiata tra due anni e che sancì l’inizio del declino del continente, allora al centro del mondo e di tutto.

Quasi come se quei commensali fossero i rappresentati di un mondo scintillante che da lì a poco sarebbe scomparso, affondato per l’appunto.

Quella sera, mentre camerieri della campagna del Monferrato e del torinese lavoravano per una vita dignitosa, gli ultimi stappi di champagne salutavano la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, tragica e violenta, quella del novecento e dei suoi cannoni.

13 piemontesi sul Titanic (seconda parte)
13 piemontesi sul Titanic (seconda parte)

Il ricevimento si consumò in fretta, alle 21 gli illustri ospiti avevano finito di cenare e se ne andarono chi in cabina, chi a passeggiare sul ponte, chi al bar, chi a giocare a carte, chi a danzare al suono allegro di ragtime.

Alle 23.40, le vedette a prua avvistano l’iceberg, infame montagna di ghiaccio che in quella notte senza luna si era mimetizzato nelle tenebre come una belva in agguato.

Troppo tardi. I secondi che intercorsero tra l’avvistamento e la collisione furono appena 37. Lo scafo fu squarciato, irrimediabilmente.

Era la fine del Titanic, l’inaffondabile.

In due ore e 40 minuti in cui l’indifferenza dei passeggeri si tramutò in preoccupazione prima e poi in angoscia e terrore in un crescendo di panico, il transatlantico più famoso al mondo concluse il suo unico viaggio spezzandosi in due e inabissandosi per sempre nell’Atlantico.

E loro, i tredici piemontesi del Titanic divorati dall’oceano, condivisero la sorte di altre 1.505 persone in quella notte maledetta di stelle e ghiaccio.

a cura di Federico Mosso

( Questo articolo è stato scritto grazie alla preziosa collaborazione di Claudio Bossi, scrittore e storico della tragedia del Titanic. Claudio Bossi ha scritto un importante libro sull’argomento: “Titanic. Storia, leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari.” L’avvincente saggio storico è edito da De Vecchi marchio specializzato in saggistica di Giunti Editore. )

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende