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Giovanni dalle Bande Nere: l’ultima battaglia

Da Alessandro Maldera

Marzo 26, 2014

L'ultima battaglia di Giovanni dalle Bande Nere

La bella e tragica vicenda dell’ultima battaglia di Giovanni dalle Bande Nere

E’ come un’opera teatrale, o come il magnifico film del 2001 di Ermanno Olmi “Il mestiere delle armi” che è un affascinante tuffo nell’Italia del ‘500.

“A noi, a noi, a noi, squadre e bandiere, viva Giovanni dalle Bande Nere.”

25 novembre 1526, Governolo, territorio del Ducato di Mantova.

Dio che freddo che faceva quella mattina.

La spessa nebbia della Pianura Padana avvolgeva tutto e insieme al bianco della neve, rendeva il paesaggio ovattato e sinistro.

Sotto le insegne di Giovanni de Medici detto delle Bande Nere 400 fanti con picche e spade e 400 cavalieri armati di lance e archibugi si preparavano alla battaglia.

Cosa diversa era la guerra rispetto a quella odierna; uomini pesantemente bardati si scontravano in mischie furibonde con le lame, le mazze ferrate, e da qualche tempo con gli scoppi di archibugi.

Già, la polvere da sparo, invenzione terribile che faceva ora la sua prepotente e micidiale comparsa nei campi in arme d’Europa.

La Storia militare non sarebbe mai stata più la stessa e l’episodio di quel gelido giorno di fine novembre è emblematico per i tempi che cambiavano.

Giovanni dalle Bande Nere: l'ultima battaglia

Gli attori:

  • Giovanni dalle Bande Nere.

Figlio di Giovanni de’ Medici e di Caterina Sforza, signora in arme di Imola e Forlì da cui ereditò il sangue guerriero.

Sverginò la lama nella guerra contro Urbino e si formò come condottiero durante le Guerre d’Italia che sconquassavano la Penisola tra diritti dinastici rivendicati, appetiti territoriali, potenti sovrani stranieri, signorie infingarde, eserciti prezzolati, odi religiosi, cospirazioni di palazzo.

Abile stratega, intelligente comandante, diventò capo di una truppa d’elite di mercenari assoldati in primis dal Vaticano.

Durante la carriera militare si fece pagare da più fronti cambiando bandiera per convenienza, a seconda di alleanze e della moneta sonante, una volta dai francesi, un’altra volta dagli asburgici .

Georg Von Frundsberg. Brutale, coraggioso e astuto capitano supremo dei lanzichenecchi al servizio dell’Impero di Carlo V d’Asburgo.

Nel 1526, benché malato ma non stanco di battaglie e crudeltà, scese in Italia con un esercito di 14.000 fedelissimi con l’obiettivo di conquistare tutto il conquistabile e prendere la “Novella Babilonia”, cioè Roma di papa Clemente VII.

Leggenda vuole che attaccata alla sella del suo destriero da guerra ci fosse un cappio di corda d’oro con cui si vantava coi suoi uomini che avrebbe appeso il papa.

Giovanni dalle Bande Nere: l'ultima battaglia

  • Re Francesco I

Sovrano dei francesi, combatté tutta la sua vita per rompere l’assedio che il suo eterno nemico Carlo V, allo stesso tempo Imperatore del Sacro Romano Impero di Germania e Re di Spagna, aveva stretto attorno al suo regno.

L’Italia per ragioni dinastiche, di prestigio e geopolitiche rappresentò la sua più grande ambizione di conquista, mai raggiunta.

Cadde prigioniero degli spagnoli che lo rinchiusero a Madrid, quando tornò libero si rimise immediatamente sul piede di guerra aderendo alla Lega di Cognac promossa dal papa Clemente VII insieme a genovesi, veneziani, pontifici, fiorentini, milanesi e le forze del Regno di Navarra.

  • Carlo V d’Asburgo

Acerrimo nemico di Francesco I.

Fu padrone di un impero immenso. I suoi territori si estendevano in Mitteleuropa, in Italia del Nord e del Sud, nei Paesi Bassi, nelle Fiandre, in Spagna, in Africa del Nord, in Messico, nei Caraibi.

Nel 1526 decise di mandare una spedizione punitiva di lanzichenecchi per distruggere la Lega di Cognac e prendere Roma e l’Italia intera.

  • Federico II Gonzaga

Marchese di Mantova doppiogiochista, la sua posizione strategica fu ambigua perché capitano della Chiesa e quindi suo difensore d’eccellenza e allo stesso tempo filo-imperiale e alleato di Carlo V.

Pochi giorni prima della battaglia di Governolo permise il passaggio nelle sue terre, attraverso la porta di Curtatone del Serraglio, all’esercito mercenario di Von Frundsberg e contemporaneamente s’adoperò per ritardare la marcia di Giovanni e dei suoi, facendolo imbestialire. Donnaiolo, morì di sifilide.

  • Alfonso I d’Este

Duca di Ferrara. Alleato di Carlo V, fornì in segreto agli imperiali alcuni falconetti, ovvero moderni cannoncini di piccolo calibro ma micidiali.

Erano le stesse bocche da fuoco che il capitano Giovanni gli aveva chiesto per i suoi, e che Alfonso gli aveva rifiutato, preferendo aiutare i lanzichenecchi nemici del papato. Durante il suo governo, fu scomunicato per ben tre volte da altrettanti papi.

  • Papa Clemente VII

Membro della famiglia Medici di Firenze come Giovanni, con la Lega di Cognac si alleò con Francesco I di Francia e altri nemici giurati di Carlo V. Giovanni dalle Bande Nere fu un suo fedelissimo soprattutto quando il papa gli pagò tutti i debiti.

L'ultima battaglia di GIovanni dalle Bande Nere

  • I lanzichenecchi

Fanti mercenari svevi, franconi, bavaresi e tirolesi. Luterani per fede, i “lanzi” odiavano con passione i papisti e Roma vista come la capitale del regno demoniaco cattolico.

Combattevano a piedi con ardore e decisa violenza.

Spadoni, picche, alabarde, erano le loro armi che usavano con ferocia quando le formazioni serrate di fanteria venivano a contatto con il nemico.

Celebri anche per i tremendi saccheggi e quando arrivarono a Roma nel 1527 la misero a ferro e fuoco.

Riuscirono ad entrare in città tramite una finestra di una cantina nascosta nelle mura dell’Urbe.

Eccitati dalla vittoria, dall’odio verso il papa, dalla paga mancata, si abbandonarono alla razzia e al sangue.

Massacrarono le guardie svizzere.

Stuprarono donne di qualsiasi età e ceto. Sgozzarono preti.

Trascinarono le suore nei bordelli. Trucidarono e rubarono ovunque, nei palazzi, nelle case, nelle chiese.

L'ultima battaglia di Giovanni dalle Bande Nere

Le Bande Nere

Nel 1521 quando il papa Leone X, zio di Giovanni, morì, le truppe listarono a lutto le insegne.

Dai colori bianco e violetto si passò al nero dando a quel piccolo ma agguerritissimo esercito mercenario un’immagine tenebrosa.

Durante le guerre i soldati di Giovanni erano abilissimi nella tecnica dello “sciame d’api contro l’orso”, ovvero si trattava di colpire con velocità il nemico in marcia, spesso molto più grande in numero, per poi ritirarsi lesti.

Una tecnica di guerriglia che era raffinata perché si attaccava di giorno e di notte, con rapidità, retrovie, depositi, reggimenti isolati, prima che gli avversari potessero capire cosa diavolo stava arrivandogli contro e dunque organizzarsi in una battaglia campale tradizionale.

Api che pungevano un orso, ovunque, e che non potevano essere afferrate.

L'ultima battaglia di Giovanni dalle Bande Nere

Scena della Battaglia

Governolo 25 novembre. La retroguardia lanzi si era asserragliata intorno alla fornace, comandata personalmente dal comandante Von Frundsberg.

Il tedesco a cavallo si avvicinò a Giovanni, anche lui sul suo destriero.

I due si guardarono negli occhi e si salutarono con un cenno.

Poi, scoppiò il pandemonio.

Cariche di cavalleria e contrattacchi di quadrati di fanteria, che gran baccano di urla, di corazze che cozzavano tra loro, di scoppi e fumo!

I lanzichenecchi, appostati dietro il muro della fornace facevano lavorare gli archibugi. Intanto, fu dato l’ordine agli artiglieri di sparare con i falconetti.

Nonostante i cannoncini seminassero morte tra le Bande Nere, Giovanni spronava gli uomini, decisi a non mollare il campo. Ma una palla di cannone gli maciullò la gamba destra.

La ferita era gravissima, incancrenita; un chirurgo tentò una drastica amputazione, ma fu inutile. Giovanni morì il 30 novembre 1526.

Nel frattempo, a Roma, il papa tremò.

Federico Mosso

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende