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Aristide Faccioli: l’uomo a cui Agnelli “sottrasse” il nome

Da Alessandro Maldera

Marzo 07, 2014

Quando Giovanni Agnelli comprò la fabbrica in cui era direttore tecnico, Aristide Faccioli lo prese istintivamente in antipatia.

Certo, Aristide Faccioli mantenne la stessa posizione di prestigio che aveva nell’ormai acquisita officina Accomandita Ceirano & Co. e continuò, da buon ingegnere meccanico, a inanellare creazioni automobilistiche all’avanguardia.

Aristide Faccioli: l'uomo a cui Agnelli "sottrasse" il nome
Giovanni Agnelli

Dopo aver progettato nel 1898 la “Welleyes”, la prima autovettura interamente italiana della storia (praticamente un calesse con un motore da 663 centimetri cubi al posto dei cavalli), sotto il nuovo padrone ideò e costruì la “Tre e mezzo”, prima auto Fiat.

Aristide Faccioli: l'uomo a cui Agnelli "sottrasse" il nome

Ecco, Fiat, ora sinonimo di “Fabbrica Italiana Automobili Torino”, ma acronimo che fino ad allora l’ingegnere bolognese aveva stampigliato a chiare lettere sulla porta dell’ufficio e sui suoi biglietti da visita: “Faccioli Ingegner Aristide Torino”.

Agnelli gli aveva rubato il nome, ma la sua passione per i motori era troppo forte per mollare tutto e allora, prima che nel 1901 il magnate decida di affiancargli un secondo direttore tecnico, dalle catene di montaggio della ex Ceirano, ora Fiat, nacquero la “Tipo 6 corsa”, la “Tipo 8” e la “Tipo 10hp”.

Aristide Faccioli: l'uomo a cui Agnelli "sottrasse" il nome
Aristide Faccioli: l’uomo a cui Agnelli “sottrasse” il nome

Fondazione della S.P.A

Proprio l’onta di vedersi sfiduciato davanti agli operai che per anni avevano ammirato il suo genio, spinse l’irascibile Faccioli a sbattere la porta in faccia ad Agnelli, sì, proprio quella porta sulla quale Fiat stava ancora a significare il suo nome e non quello di una “fabbrica”.

I motori erano la sua vita, ma decise di declinare quella passione in un settore ancora più pioneristico dell’automobile.

Faccioli fonda la S.P.A., Società Piemontese Automobili, ma in realtà inizierà a costruire aerei.

Nel 1903 era rimasto estasiato ad ammirare (probabilmente su qualche illustrazione di un giornale) la prima creazione dei fratelli Wright.

Volare era possibile e sei anni dopo costruì il primo aeroplano interamente italiano, un triplano leggerissimo che decollò dall’ippodromo di Mirafiori (o forse da Venaria Reale), si librò a ben 20 metri di altezza e, a causa dell’inesperienza del pilota, il figliio Mario, terminò la sua corsa accartocciato in fase di atterraggio.

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Persino il Vate D’Annunzio si innamorerà delle sue creazioni volanti, ammirato dalla complessità del lavoro dell’ingegnoso mecccanico:

Era là, Aristide Faccioli, attorcigliato in se stesso dal calcolo difficile

Il volo gli porterà via il figlio, morto in un incidente aereo e quella tragedia porrà fine alla sua carriera di progettista.

Basta bulloni, basta lamiere e pistoni.

Faccioli morirà suicida a Torino nel gennaio del 1920.

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La città lo ricorderà con una targa in corso Ferrucci, riconoscendogli però le solo conquiste aviatorie e dimenticandosi del costruttore della prima auto italiana.

Un nome rubato alla storia dall’oblio.

E dalla Fiat.

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Marco Parella

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende