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Yesmoke, da Settimo all’attacco dei “7 bastardi”

Da Alessandro Maldera

Luglio 02, 2013

Risulta difficile per un non-fumatore parteggiare per un fabbricante di sigarette, ma è proprio questa l’idea che nasce spontanea quando si inizia a conoscere la storia di Yesmoke.

Sul finire dello scorso millennio due fratelli piemontesi, emigrati a Mosca, hanno l’idea di creare una tabaccheria online che, sfruttando una nicchia del tutto legale nei regolamenti postali e doganali di mezzo mondo, consenta di vendere sigarette ad un prezzo inferiore al normale.

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Il concetto è semplice: perché, come spesso succede, chi acquista qualcosa su internet deve pagare le tasse sia nel paese di origine del prodotto, sia al suo arrivo alla dogana locale?

“Le tasse si pagano una volta sola”, come dichiareranno i fratelli Carlo e Giampaolo Messina alla BBC qualche anno dopo.

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Alla mezzanotte esatta del 1° Gennaio 2000, quando tutto il mondo aspettava terrorizzato il Millennium Bug, il programmatore ucraino Alexey Kulentzov mise online il sito Yesmoke.com, dando il via a quello che i grandi cartelli mondiali del tabacco considerano a tutti gli effetti un virus pericoloso per il loro sistema, capace di sottrarre profitti, consumatori e consensi.

Dal primo ordine giunto il giorno della Befana da un curioso internauta francese ai 10 miliardi di sigarette (50 milioni di stecche) prodotte oggi il passo non è stato breve e, di sicuro, nemmeno facile.

Lo shop online diventa in breve tempo uno dei più frequentati al mondo e il passaparola sui prezzi convenienti non fa che aumentare gli ordini: dall’Irlanda del Nord al Canada, dall’Australia all’Italia, Yesmoke, trasferitasi a Balerna in Svizzera, continua a spedire pacchi da 200 Marlboro a 13.95 $ e ABBÀ, le più economiche, a 6.95 $ a stecca.

Tutte rigorosamente provviste di dichiarazione doganale con indicazione del contenuto (“Zigaretten”), del peso (0,3 Kg) e del valore (10 $, al netto delle spese).

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Alcuni Paesi impongono il pagamento di una tassa doganale, ma il prezzo rimane comunque migliore a quello della tabaccheria, mentre altri, ad esempio gli USA, diventati ben presto il primo mercato, recapitano le sigarette completamente duty-free, in ottemperanza ad una legge federale che sancisce il diritto del cittadino americano ad importare sigarette dall’estero.

Tanto scalpore richiama i media, come anticipato la BBC invita i fratelli Messina ad un programma radiofonico, ma anche l’attenzione predatoria delle multinazionali della Big Tobacco.
Nel 2001 la Philip Morris fa causa alla Yesmoke per “Violazione di copyright e concorrenza sleale”.

L’oggetto principale del contendere è l’esportazione sul territorio statunitense di sigarette Marlboro (uno dei brand del gruppo) destinate al mercato europeo e non a quello a stelle e strisce.

Da anni si vociferava di una presunta differenza di aromi e soprattutto di sostanze chimiche contenute nelle sigarette destinate ai due mercati e questa ne è la conferma.

I legali assunti dall’azienda svizzera si dimostrano intimoriti dalla potenza del colosso americano che, nel frattempo, pretende ed ottiene la trasmissione di ogni tipo di dati sensibili riguardanti la sua attività, dalla lista dei fornitori a quella dei conti bancari, dai bilanci fino ai nomi di ognuno dei dipendenti.

Nel 2003, mentre tutte le banche si sfilano dal business di Yesmoke con scuse risibili (“Siamo spiacenti, ma purtroppo si tratta di un prodotto dannoso alla salute”) e gli stessi titolari di conti privati vengono invitati a chiuderli in quanto “persone non gradite”, la Philip Morris vince la causa e chiede un risarcimento di 548 milioni di dollari.

Il tribunale ne riconoscerà “solo” 173 e subito dopo anche la città di New York e lo stato dell’Oregon citeranno in giudizio Yesmoke, ma la battaglia legale tra questi moderni Davide e Golia è solo all’inizio.

Il 2004 è un anno cruciale.

Big Tobacco reclama i diritti sull’indirizzo yesmoke.com e ad agosto riesce ad impossessarsene, costringendo i fratelli Messina ad aprire un nuovo sito con suffisso .che, non sottoposto alla giurisdizione statunitense; nel frattempo, negli stabilimenti svizzeri vengono trovati tre ordigni all’interno di tre stecche di sigarette prodotte dalla Philip Morris.

La Polizia locale ammise, dopo le indagini, che non erano trasmettitori, come affermato da Marc Fritsh, portavoce della multinazionale americana, ma nemmeno bombe in grado di esplodere. Ne avevano solo le intimidatorie sembianze.

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Nonostante i guai legali, il nuovo portale online continua a crescere e, parallelamente alle marche tradizionali, il 12 novembre 2004 inizia la vendita delle sigarette “Yesmoke” che vanno subito a ruba.

Il 16 novembre il primo cargo con le nuove “bionde”, un Boeing 767 della DHL appena atterrato all’aeroporto JFK di New York , viene circondato da centinaia di agenti di “almeno nove agenzie investigative federali, statali e locali” e oltre 150mila stecche vengono confiscate.

La società barcolla, ma non demorde e, proprio grazie ai proventi della vendita di Marlboro a clienti americani, si trasferisce in Italia, a Settimo Torinese, dove costruisce una fabbrica moderna e funzionale di 14.000 metri quadrati.

Sulle pareti i “j’accuse” contro le major che soffocano il mercato (“Chi fuma Marlboro è un coglione”), i “7 bastards” che nel 1994 mentirono platealmente all’opinione pubblica mondiale dichiarando sotto giuramento che “la nicotina non crea dipendenza” e scoperti poi ad addizionare il tabacco con l’ammoniaca per aumentarne gli effetti nocivi sull’organismo.

Yesmoke, da Settimo all'attacco dei "7 bastardi"

Anche la giustizia italiana ha tentato di mettere i bastoni tra le ruote a questa realtà che, pur non producendo caramelle e palloncini, tenta quantomeno di informare la gente sulle truffe di portata globale perpetrate da manager senza scrupoli e politici conniventi.

Prima l’imposizione di un “prezzo minimo”, poi, dopo l’abolizione del suddetto da parte della corte di Giustizia Europea, l’introduzione di una “tassa minima”. Infine, l’AAMS, l’Azienda Autonoma Monopoli di Stato, ed il Ministero delle Finanze hanno bloccato la produzione e la vendita della sigarette per 88 giorni a cavallo tra 2010 e 2011 a causa di presunte irregolarità nella gestione del deposito fiscale, ma il T.A.R. ha dato ragione alla Yesmoke.

Ora, seppur in Italia rappresenta meno dell’1% del mercato (le sigarette di produzione propria stanno però iniziando a diffondersi anche nelle tabaccherie nostrane), il brand piemontese all’estero continua ad andare fortissimo e, anzi, esporta la sua italianità ottenuta con la certificazione 100% Made in Italy rilasciata nel 2012.

L’ultima battaglia lanciata dai Messina riguarda il prezzo delle sigarette nel nostro Paese: in periodo di aumenti, la Yesmoke vuole rompere il circolo vizioso imposto dalle lobby e dallo Stato e ha deciso, già da un anno, di mantenere il prezzo dei propri pacchetti a 4€.

Questa mossa ha costretto la concorrenza ad abbassare i prezzi e a rinunciare ad una minima parte dei luculliani profitti: si stima che la Philip Morris in Italia guadagni il 600% sulle Marlboro, BAT (un altro grande gruppo del tabacco) il 375% sulle MS e JTI il 430% sulle Camel.

È giusto?

(foto tratte da yesmoke.eu)

di Marco Parella

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende