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Impiccato e resuscitato: i Santi che assisterono Antonio Sismondi

Da Alessandro Maldera

Maggio 23, 2013

Torino impiccato resuscitato Sna GIovanni Bosco San Cafasse

Il 12 marzo 1853 a Torino è avvenuto il penoso episodio dell’impiccato resuscitato:  Antonio Sismondi, al momento di essere sepolto presso il cimitero di San Pietro in Vincoli, ha dato segni di vita.

È morto definitivamente, nonostante fosse stato impiccato, alle dieci del mattino, malgrado o, forse, in seguito all’intervento dei medici che lo hanno generosamente salassato.

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Il rettore della Arciconfraternita della Misericordia deve integrare l’atto di morte di Sismondi: alle rituali parole “suspensus obiit” (impiccato morì), nel Libro dei morti aggiunge questa postilla in latino che così traduciamo: «impiccato alle ore sei e mezza del mattino, per la straordinaria struttura delle membra non morì. Mentre lo tumulavano i confratelli della Misericordia si accorsero che era ancora vivo, gli fornirono dei rimedi, ma invano, infatti alle ore dieci dello stesso giorno morì».

L’autopsia accerta che la morte di Sismondi non è stata istantanea perché non vi è stata compressione del midollo spinale né frattura di vertebre cervicali; il suo collo tozzo e robusto, con muscoli assai sviluppati, ha impedito il normale procedimento dell’impiccagione.

E dire che il giornale cattolico «La Campana», nell’annunciare l’esecuzione, aveva augurato: «Sia pace all’infelice». Certo un augurio poco profetico!

La penosa morte di Sismondi impressiona l’opinione pubblica, fa discutere anche in Parlamento.

Si critica il boia Antonio Pantoni, si interpellano i medici per modificare i mezzi di esecuzione delle condanne a morte. Altro che pace!

Impiccato e resuscitato: i Santi che assisterono Antonio Sismondi

Si crea persino una sorta di “competizione” tra Santi torinesi.

In confortatorio, prima dell’esecuzione, Sismondi è stato assistito da Don Cafasso e da altri confratelli della Misericordia. A San Pietro in Vincoli è stato soccorso dal teologo Carpano, dal viceparroco dei SS. Simone e Giuda, dal chierico Francesco Picca, da confratelli laici della Misericordia, tra cui il conte Paolo Corte di Montanaro.

Questa versione trova riscontro nella prassi al tempo seguita per le esecuzioni capitali.

Il sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne, nelle sue «Memorie biografiche di S. Giovani Bosco» (39, II), scrive che Sismondi – ultimo condannato assistito in confortatorio da don Bosco – dopo la “resurrezione”, aveva chiesto di lui: don Bosco, accorso in tutta fretta, con notevole decisionismo aveva stabilito «che non vi era nessuna speranza di salvarlo, essendo smosse le vertebre del collo.

Si affrettò pertanto ad eccitarlo ad un atto di contrizione, lo assolse e non partì di là finché dopo circa due ore i medici constatarono essere egli realmente spirato».

L’episodio, erroneamente datato al 1857, appare attribuito a San Giovanni Bosco per inopportuno spirito agiografico ed è del tutto dimenticato dai moderni biografi salesiani.

a cura di Milo Julini

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende