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Lorenzo D’Adda e quel vecchio cofanetto manciù di via Po 55

Da Alessandro Maldera

Ottobre 16, 2012

Sol Levante in guerra

Due mani indagano su un oggetto ritrovato in un angolo buio e dimenticato. E’ una scatola chiusa, ricoperta dalla polvere di decenni. La bocca di qualcuno soffia via la polvere del tempo. Compare un timbro sbiadito: “Ingegner Lorenzo D’Adda Via Po n. 55 Torino”.

Il cofanetto è il custode di volti di guerrieri del Sol Levante, di bocche da fuoco pronte a scatenare l’inferno, di lande orientali, di trincee scavate nella terra di Manciuria e di corazzate nel Mar Giallo, di porti lontani e della città di Tokyo agghindata per una grande festa.
L’indirizzo di Via Po 55, che ora è sede della Fondazione Accorsi, era dove cento anni fa e forse più aveva il suo studio Lorenzo D’Adda, ingegnere navale che in qualità di esperto di tecnologie militari dallo scatto fotografico facile, fu inviato in Estremo Oriente a documentare la guerra russo-giapponese per conto del giornale di Milano “Il Secolo”.

Le 150 fotografie, scattate da D’Adda tra il 1904 e il 1905 e ritrovate nel cofanetto, sono testimoni eccezionali di un conflitto lontano.

La guerra, scoppiata nel 1904, vide contrapposti due imperi: quello gigantesco dello Zar Nicola II Romanov, potenza abnorme , ma afflitta da arcaicità feudali e quello piccolo dell’imperatore-dio Mutsuhito, una nazione che per tanti secoli era rimasta chiusa ermeticamente al resto del mondo ma che dopo audaci politiche di ammodernamento aveva scelto l’espansione, l’aggressione, la conquista oltremare. Insomma bramava il suo posto tra i grandi scalciando tra le onde dei mari d’Asia.

soldati giapponesi intorno ad un militare russo ferito
soldati giapponesi intorno ad un militare russo ferito

L’osso della contesa tra cosacchi e samurai era la Manciuria, pezzo di Cina di alto valore strategico per l’influenza militare e dunque economica e commerciale di tutto il Pacifico del nord.
D’Adda partì come giornalista accreditato presso l’alto comando nipponico. Al braccio sinistro portava la fascia di inviato di guerra con la scritta “Secolo”, un po’ come fanno ancor oggi i reporter nei posti caldi della terra con la pettorina “press”, come a voler essere considerati arbitri super partes durante match tra eserciti avversari.
Raggiunse l’assediata Port Arthur per unirsi alle truppe del generale Maresuke Nogi, aristocratico e ufficiale duro come l’acciaio. Per capire la sua tempra guerriera tutta nipponica basti sapere che quando un generale russo volle porgergli le condoglianze per la caduta in battaglia dei suoi due figli, lui, gelido, si disse felice che fossero morti per la patria. I russi, scioccamente sprezzanti di un nemico sottovalutato che ritenevano inferiore di razza e civiltà, non avevano chances di vittoria contro una determinazione disciplinata e fanatica che colpì lo stesso D’Adda.
Qua il giornalista scattò numerose fotografie tra cui alcune che ritraevano gli obici in dotazione alle truppe imperiali del Giappone. Cannoni Ansaldo, fiore all’occhiello del Made in Italy del tempo.
Il conflitto infuriava. Gli uomini dello zar, mal comandati e mal approvvigionati, arretrarono, sconfitta dopo sconfitta in terra come in mare. Quelli che definivano scimmie erano imbattibili. Quei piccoli uomini in divisa, alti un soldo di cacio ma coraggiosissimi nella lotta, dilagavano dietro il suono dei tamburini, fregandosene delle alte perdite.
L’ingegnere-fotografo documentò poi la modernità di quel nuovo evento storico. Treni, armi diaboliche, corazzate come fortezze d’acciaio dei mari: era il preludio del novecento, una breve anticipazione dei macelli successivi, la “World War Zero”.

Mukden, febbraio-marzo 1905. Mezzo milione di uomini scesero in campo per uccidersi con artiglierie e con baionette, in spaventosi e affollati corpo a corpo tra due civiltà differenti, tra uomini della steppa e soldati del Sole Rosso. Fu una delle battaglie decisive. D’Adda era presente e catturò con l’obiettivo le masse di prigionieri russi, i villaggi distrutti, i coolies cinesi che facevano da barellieri.

fanteria giapponese in trincea
fanteria giapponese in trincea

La sfida navale di Tsushima decise la fine delle ostilità. L’ammiraglio Togo, fotografato in alta uniforme in posa da eroe nazionale, distrusse la flotta di Nicola II, che era giunta fino a lì attraversando il Baltico, l’Atlantico, l’Indiano e il Pacifico Settentrionale. Un viaggio lungo e difficile intrapreso solo per subire una tremenda batosta. La guerra sancì il declino dell’impero russo, umiliato, e l’ascesa di quello giapponese, che aveva stravinto. Tokyo festeggiava, San Pietroburgo si deprimeva.
Tanti racconti e personaggi escono fuori da quel cofanetto con il timbro “Via Po 55”. La scatola non appare solo come un contenitore di vecchie foto ingiallite; è una capsula del tempo che l’ingegner D’Adda ci ha lasciato per narrare un pezzo della Grande Storia.

Federico Mosso

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende