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Il rione Borgo Cina, storie di povertà, ma anche di solidarietà e calore umano

Da Alessandro Maldera

Luglio 25, 2012

Il rione Borgo Cina, storie di povertà, ma anche di solidarietà e calore umano

Racchiuso tra via Tirreno a nord, corso Unione Sovietica, corso Siracusa e corso Cosenza. A est, via Crea e strada del Portone a ovest e corso Orbassano e corso Tazzoli a sud.

E’ rinato negli ultimi anni il quartiere di Mirafiori Nord, ex agglomerato operaio, oggi periferia residenziale per famiglie.

Con i suoi circa 100.000 abitanti Borgo Cina è il quartiere più popoloso di Torino e nasconde al suo interno realtà eterogenee.

Una di queste colpisce l’attenzione del forestiero, forse per il peculiare nome, forse per la sua architettura che non lascia spazi alla fantasia o all’estetica.

Stiamo parlando del rione Borgo Cina, nato a cavallo degli anni Quaranta, ma esploso grazie al boom edilizio e demografico dei ‘60 dello scorso secolo- E adibito a residenza per la forza lavoro dell’antistante stabilimento Fiat.

Proprio alla Fabbrica Italiana Automobili Torino deve il nomignolo questa zona.

Sembra infatti che questa nomea nulla abbia a che fare con l’effettiva presenza di una comunità asiatica, ma piuttosto con l’associazione cromatica delle tute da lavoro rosse che gli operai della zona indossavano per andare a lavoro.

All’uscita dal turno, infatti, una marea rossa si riversava fuori dai cancelli per le strade del quartiere, dando l’impressione dell’arrivo dell’armata cinese, per l’appunto.

Altre leggende metropolitane riportano invece al fatto che tutte le case fossero di colore giallo o che la maggior parte dei residenti venisse dal Veneto. E dunque parlasse un dialetto incomprensibile tanto quanto il mandarino, oppure che la grande maggioranza degli abitanti fosse di ideologia comunista.

Le versioni più fantasiose rimandano invece ad un’effettiva presenza di una colonia cinese che da qui, si spostava verso il centro per andare a vendere cravatte. Attualmente una discreta rappresentanza orientale esiste e se andate a dare una sbirciata ai citofoni delle villette sul lato sud-est di corso Agnelli, noterete subito i cognomi non propriamente locali.

Torino Il rione Borgo Cina, storie di povertà, ma anche di solidarietà e calore umano

A prima vista, gli architetti comunali che ne idearono il progetto non si discostarono di molto da quanto fatto per i complessi della zona M2, separata dal quartiere “Costanzo Ciano” (questo il nome ufficiale) da via Dina.

La pianta, comune a molti edifici di quest’area, prevede lunghi caseggiati a pochi piani (mai oltre i dieci, spesso entro i cinque) che racchiudono tra loro ampi cortili. Luoghi adibiti a parcheggio, ma soprattutto alla vita comunitaria degli inquilini.

Questo senso di comunanza ed unione dei condomini che vivono in Borgo Cina ci viene ben raccontato da Sonia, 30 anni ed una vita trascorsa nel rione: “Qui ti confronti con realtà alcune volte molto crude, però tutto questo ti fa maturare. C’è però un aspetto unico, che forse non si ritrova facilmente in altre zone della città: si crea una sorta di complicità, tutti si aiutano, tutti si rispettano. E nonostante la delinquenza, la comunità regge e va avanti unita”. In che modo si nota questa unione tra vicini di casa? “Faccio un esempio. Nella nostra scala c’è una ragazza madre e tutti noi del palazzo sappiamo che ha problemi economici e non può permettersi una baby sitter quando è a lavoro. Per cui, senza dire nulla, tutti quanti controlliamo il figlio che gioca in cortile. La povertà porta solidarietà”.

Via Dina Torino

La povertà, però, porta anche delinquenza talvolta e Borgo Cina non fa eccezione.

Purtroppo questo problema esiste, è inutile negarlo, ma come comunità si cerca di trovare sempre un rimedio, si impara a tollerare. Il bello di questi posti è che se hai commesso un errore in passato, non per forza devi rimanere emarginato a vita”.

Lo stretto legame che inizialmente legava questo rione operaio e la Fiat oggi si è un po’ allentato e le persone che vi abitano sbarcano il lunario nelle maniere più disparate. Ma l’importanza sociale del cortile interno è rimasta immutata per la crescita dei bambini ed il senso di appartenenza ad una realtà, magari meno agiata, ma sempre combattiva e ottimista nel futuro.

“Mi ricordo che quando ero più piccina non vedevo l’ora di tornare a casa per andare giù in cortile, soprattutto per giocare a nascondino. Però non si parla di un nascondino qualsiasi, qui giocavano venti, trenta ragazzi per volta, di tutte le età! Una cosa interminabile!”

La Redazione di Mole24

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende