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Il caso Codecà: un omicidio tra spionaggio e guerra fredda a Torino

Da Alessandro Maldera

Marzo 12, 2012

Era il 16 aprile del 1952.

Sono passati più di 70 anni ed il caso Codecà è ancora un mistero a trame fitte, in cui le piste ed i moventi si confondono e non conducono a nessun  colpevole.

Quella sera, Erio Codecà direttore della Fiat Spa, era uscito dalla sua residenza di via Villa della Regina 24 assieme al suo cane. La cameriera gli aveva fatto strada aprendogli la porta, ma rientrò subito in casa.

Dopo poco la donna udì un colpo che poteva somigliare ad uno sparo, ma non diede molto peso alla cosa.

Il rumore fece invece scendere in strada Luisa De Marzis, che abitava al civico 28 della via. La donna, in compagnia della figlia Adriana, non ci mise molto a scorgere il corpo dell’ingegnere riverso al suolo.

Erano le ore 21:15 e Codecà era ancora vivo

Accanto a lui le chiavi della sua Fiat 1100, parcheggiata poco distante, gli occhiali ed il suo fedele  cane, uno spinone intento ad abbaiare furiosamente in direzione della collina.

Dove molto probabilmente era fuggito l’assalitore. La vittima spirò poco dopo il trasporto in una clinica nelle vicinanze, lasciando vedova la moglie Elena Piaseski, rumena di origini polacche ed orfana la figlia dodicenne Gabriella, che in quel periodo erano al mare in vacanza.

Dapprima si credette che il colpo avesse colpito Codecà alla nuca e la notizia fu diffusa dai giornali, ma da analisi più attente si appurò che il proiettile entrò sotto l’ascella destra.

La pista inizialmente battuta portò ad un unico sospettato: l’ex partigiano Giuseppe Faletto. Il suo nome era stato fatto da due suoi ex compagni della brigata Garibaldi.

Faletto, o meglio “Briga”, come era soprannominato, oltre ad essersi reso protagonista di una militanza turbolenta e sanguinaria nella resistenza. Aveva operato numerose estorsioni e rapine nel primo dopoguerra, ai danni di ex fascisti ed industriali.

La corte di Assise assolse l’imputato nel 1958 a causa di insufficienza di prove per il caso Codecà, ma lo trovò colpevole di svariati crimini di guerra.

I due testimoni non furono creduti anche a causa del loro provato risentimento nei confronti di Faletto.

All’enigma legato al movente e all’identità dell’assassino se ne aggiunsero presto altri che nacquero già con le prime indagini sulla vita dell’ingegnere

Il caso Codecà: a Torino un omicidio tra spionaggio e guerra fredda

Nei cassetti della scrivania di Erio Codecà furono ritrovati fogli in linguaggio cifrato

E che secondo i colleghi interrogati non avevano nulla a che vedere con comunicazioni ed ordini di natura lavorativa.

Dato il passato della vittima si formularono varie ipotesi di spionaggio industriale e vendita di informazioni ai paesi comunisti, con cui l’Alleanza Atlantica vietava di comunicare o collaborare per tutto il periodo della Guerra Fredda.

L’ingegnere, che si era laureato a Grenoble nel ’26, una volta entrato in Fiat era stato inviato a Bucarest a dirigere la filiale rumena e successivamente quella di Berlino nel 1935.

Stette 8 anni a lavorare nella Germania nazista, finché fu rimandato in Italia nel 1943.

Qui, durante l’occupazione nazista dopo l’8 settembre, si occupò del cosiddetto “Ufficio Germania”. Coordinò l’industria bellica e lavorando come intermediario con il comando Tedesco che si occupava della fabbrica torinese.

Indagini più recenti hanno dimostrato come il generale Leyers, interlocutore di Codecà, abbia ricevuto una “ricca consulenza” dalla Fiat a guerra finita.

Il caso Codecà: a Torino un omicidio tra spionaggio e guerra fredda

L’abilità dell’ingegnere nel gestire situazioni difficili era quindi conosciuta

Nel ’50 viene inserito, con suo non celato malcontento, nel direttivo della Spa, ove si occupava di autocarri e trattori.

Come venne fatto notare molti anni dopo, faceva riflettere il fatto che al Salone dell’Automobile del ’51, fu immortalato Erio Codecà a colloquio con l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Era evidente che l’ingegnere avesse un ruolo importante a livello di immagine e comunicazione esterna, nonostante quanto si pensasse.

Alcune ipotesi affermavano che la Fiat stessa avesse rapporti segreti con la Polonia per il carbone, che non si erano pertanto interrotti con le proteste americane e che continuavano clandestinamente.

Poco prima di morire Codecà aveva ricevuto diverse minacce e temeva per la sua vita, come confessò alla segretaria.

Arrivò persino a pensare di trasferirsi in centro città per diminuire i rischi.

All’indomani della morte della vittima comparvero nello stabilimento Fiat Grandi Motori di corso Vercelli a Torino, scritte inneggianti all’assassinio, con chiari riferimenti alla lotta di classe: “E uno!”.

Codecà tuttavia, non aveva mai operato licenziamenti, non aveva rapporti diretti con gli operai e non aveva mai preso posizioni politiche apertamente.

Nonostante l’incentivo di una taglia di 28 milioni di lire, offerto dalla Fiat e dall’Unione Industriali, l’inchiesta non porto a nulla. Si dilungò nel tempo e come capita sempre in questi casi le prove si persero e le memorie si fecero labili. Ancora oggi la morte di Erio Codecà non ha una spiegazione.

Michele Albera

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende