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Emanuele Iurilli: Torino continua a piangere un innocente

Da Alessandro Maldera

Marzo 09, 2012

Ogni guerra ha le sue vittime recita un vecchio adagio. Diventa però difficile da accettare quando le vittime sono innocenti.

E appare ancora più arduo accettarlo quando, come negli Anni di Piombo, le vittime sono tutte o per buona parte innocenti. Poliziotti, carabinieri, guardie giurate, agenti di custodia, magistrati, dirigenti Fiat, giornalisti. 
Tutti barbaramente uccisi soltanto perché espressione di un sistema che i terroristi volevano abbattere.

Bersagli troppo facili da colpire e in grado di suscitare un sicuro effetto sull’opinione pubblica.

In mezzo poi ci sono i veri innocenti, quelli senza divisa né cariche, falciati da un’assurda guerra che non li ha visti neanche protagonisti.

La morte di Emanuele Iurilli ne è un esempio e la sua storia non è molto diversa da quelle di Roberto Crescenzio, Carmine Civitate, Giorgiana Masi.

Persone che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato e hanno pagato con la vita le battaglie di altri.

Innocenti tra gli innocenti. Vittime dimenticate cui non è stato concesso altro ricordo che quello di una lapide che va scomparendo sotto il peso degli anni e di una menzione negli annali del terrorismo.

Emanuele Iurilli: a distanza di 35 anni Torino continua a piangere un innocente Prima Linea

Emanuele ha solo 18 anni nel 1979 quando viene ucciso.

E’ uno studente dell’istituto Carlo Grassi, si sta preparando all’esame di maturità per diventare perito aeronautico.

Papà Alfredo è un operaio della Fiat emigrato dal Meridione, soltanto uno dei soldati di quell’esercito di italiani scappati dall’assenza di prospettive per cercare fortuna al nord. Mamma Elvira è piemontese ed è insegnante al Santorre di Santarosa.

Una famiglia modesta e normale come tante ce ne sono in quel quartiere di operai e vecchie fabbriche che è Borgo San Paolo. Persone oneste che non c’entrano niente e che pensano soltanto a lavorare duramente e a crescere i propri figli. Alfredo ed Elvira di figlio ne hanno uno solo, Emanuele.

E’ venerdì 9 marzo quando un commando di Prima Linea decide che è ora di vendicare due compagni uccisi tempo prima in via Veronese. Il bersaglio è una bottiglieria a gestione familiare in via Millio.

I terroristi arrivano in sette a bordo di una 131 verde, di una 124 e di una terza auto, forse una Volkswagen.

Sequestrano il titolare della rivendita e la famiglia poi, con una telefonata anonima, attirano la polizia raccontando di aver trovato un’auto rubata. Arriva una volante e le pallottole cominciano a fischiare. L’appuntato Gaetano D’Angiullo viene ferito al ventre ed alle gambe.

Sono le 13.30, Emanuele sta tornando a casa da scuola per il pranzo, con la spensieratezza di un giovane di 18 anni che magari progetta il fine settimana.

Svoltato l’angolo tra via Lurisia e via Millio è già troppo tardi, Emanuele viene a trovarsi in mezzo al tiro incrociato di terroristi e poliziotti.

Qualcuno forse gli urla di stare giù, forse cerca di ripararsi tra due macchine. Ma il destino quel giorno è in agguato e si manifesta sotto forma di una pallottola 7.62 sparata da una mitraglietta di fabbricazione sovietica.

Il proiettile vagante colpisce il ragazzo al braccio, trapassa il torace, perfora un polmone e si ferma vicinissimo al cuore.

Mamma Elvira che aspettava il ragazzo per il pranzo si affaccia per capire che cosa sia quel frastuono e vede suonizzante e portato alle Molinette dove i medici tentano un delicato intervento per salvarlo. Non c’è più nulla da fare.

Emanuele muore a 18 anni, a qualche settimana dal suo compleanno e dall’esame di maturità

Muore per una pallottola che non era destinata a lui, per un destino crudele che tante volte in quegli anni ha coinvolto innocenti.

Quello stesso destino che ha travolto Roberto, Carmine, Giorgiana e tanti altri nomi che si perdono in mezzo agli elenchi dei caduti.

Anni dopo, durante il processo, mamma Elvira dovrà subire, nel processo, anche il racconto di quel tragico giorno che le ha portato via il suo unico figlio.

E soprattutto sarà costretta a vedere i terroristi che nella gabbia voltano le spalle alla corte come era d’uso in quegli anni e leggono il giornale come se fossero onesti cittadini al parco.

Solo uno, uno dei leader della colonna torinese di Prima Linea, Marco Donat Cattin – figlio del deputato Dc, Carlo – sembra mostrare una sorta di pentimento, coprendosi il volto con le mani.

La Redazione di Mole24

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende