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Amedeo Guillet, il Comandante Diavolo ( o il nostro Lawrence d’Arabia)

Da Alessandro Maldera

Gennaio 26, 2012

«Se, invece dell’Italia, Guillet avesse avuto alle spalle l’impero inglese, sarebbe diventato un secondo Lawrence. È invece soltanto un Generale, sia pure decorato di medaglia d’oro, che ora vive in Irlanda, perché lì può continuare ad allevare cavalli e (a quasi novant’anni) montarli. Quando cade e si rompe qualche altro osso (non ne ha più uno sano), mi telefona…» Così scrisse Indro Montanelli del suo amico Amedeo Guillet. Ma chi fu questo personaggio straordinario del XX secolo? Fu un cavaliere moderno, un dongiovanni impenitente, un coraggioso ufficiale di truppe coloniali, un guerrigliero africano, un istruttore delle guardie a cavallo presso la corte di un sovrano yemenita, un agente segreto dietro le linee nemiche, un ambasciatore in Nord Africa, Medio Oriente ed India.

Nato da una famiglia capuana ma dalle origini sabaude, si formò all’Accademia Militare di Modena, dove i giovani cadetti venivano allevati all’arte bellica per poi far parte del gotha del Regio Esercito. Dimostrò un’abilità con pochi pari nelle discipline equestri; caratteristica che gli aprì la porta della squadra olimpica di equitazione prossima a gareggiare sugli ostacoli berlinesi del 1936. Quello era l’anno dell’olimpiade uncinata a cui però il tenente non riuscì a partecipare. La guerra d’Abissinia era cominciata e l’ufficiale di cavalleria assunse il comando di un plotone di Spahis, truppe coloniali libiche a cavallo, indossanti il Burnus bianco, un ampio mantello con cappuccio di lana: l’abito della guerra nordafricana. Il battesimo del fuoco per Guillet e i suoi Spahis fu nell’ottobre del 1935 in Etiopia e la vigilia di Natale dello stesso anno fu ferito durante la battaglia Selaclaclà nei combattimenti contro gli abissini. Fu solo la prima avventura, nuovi capitoli di gloria e di imprese eccezionali dovevano ancora esser scritti dalla turbolenta esperienza terrena di Amedeo Guillet. Dopo il rientro con medaglie, sfilate vittoriose e onori, dalle violente agitazioni di Spagna gli venne una nuova possibilità di gettarsi nella mischia, questa volta come volontario alla testa di un reparto carri della divisione corazzata “Fiamme Nere” contro i rossi. Fece la sua parte nelle battaglie di Santander e di Teurel e in quest’ultima si distinse al comando di un tabor, un reparto militare marocchino.

Gli anni ’30 erano al loro termine, e una nuova, immensa catastrofe stava per sconvolgere il pianeta. Nel frattempo, pochi mesi prima dell’ingresso italiano nella tragica disavventura hitleriana, l’ufficiale fu inquadrato come comandate del Gruppo Bande Amhara, formazione forte di 1.700 tra guerrieri eritrei, etiopi, yemeniti e ufficiali italiani. Rispetto per la truppa, antichi principi di cavalleria, osservanza per gli usi locali, furono le qualità che differenziarono il comando di Guillet dall’operato di altri colleghi più retrogradi e meno intelligenti. Tra gli uomini di Guillet difatti, mai fu registrato un caso di diserzione, la fedeltà al tenente fu indiscussa. Ai soldati fu permesso di mantenere la tradizione di portarsi appresso i nuclei familiari e lo stesso tenente volle prendere come concubina un’eritrea figlia di un potente capo tribù, la bella Kadija, che divenne la sua fidanzata da campo per tutto il periodo del servizio in Africa Orientale, fregandosene delle bigotte disposizioni coloniali del Governatorato.

I suoi fedeli lo promossero al grado di Cummandar es Sciaitan (Comandante Diavolo) nella campagna di Dougur Dubà, durante una carica leggendaria. Il suo destriero fu colpito a morte e lui disarcionato; ordinò una secondo cavallo ma anche questo quadrupede fu ucciso e lui nuovamente ruzzolò tra la polvere. Non pago, appiedato e mezzo rotto, prese possesso di una mitragliatrice, con cui falciò gli ultimi nemici rimasti.

Il mito vivente crebbe ancora nella battaglia di Agordat contro truppe anglo-indiane che erano prossime ad accerchiare un grosso contingente che stava battendo in ritirata dentro le fortificazioni della città eritrea. Al grido di “Caricat”, la formazione di Guillet partì al galoppo contro i blindati di Sua Maestà Re Giorgio VI e in una danza esagitata e mortale di cavalli, uomini indemoniati, sciabole, bombe a mano e mitragliate riuscì nel disperato intento di coprire la ritirata dei fanti italiani. La guerra però aveva preso ormai una piega nefasta per l’Italia e caduta l’Asmara Amedeo decise di continuare il conflitto da solo contro gli inglesi. Con la sua banda iniziò una dura campagna di guerriglia per assaltare avamposti, depredare depositi, far saltare ponti, colpire la ferrovia. La caccia all’uomo messa in atto dai britannici fu serrata, ma nonostante la taglia di mille sterline d’oro, ogni tentativo di acciuffarlo fu inutile. Anche il Comandante Diavolo ad un certo punto della sua vita guerriera realizzò che la battaglia nel Corno d’Africa era ormai persa e dopo aver congedato i suoi uomini, si diede alla macchia. Di grande aiuto nella fuga gli fu la sua perfetta conoscenza della lingua araba che gli permise di recitare egregiamente la parte di Ahmed Abdallah al Redai, lavoratore di origini yemenite e buon musulmano. Braccato da Londra si nascose come acquaiolo, scaricatore di porto, guardiano notturno. S’imbarcò poi con un sambuco di contrabbandieri i quali non esitarono a derubarlo delle sue poche cose e a gettarlo in mare. Raggiunta la riva, il cavaliere vagò in lande deserte fino a quando non incontrò un gruppo di pastori che lo pestarono a sangue. Fu soccorso da un cammelliere che gli diede rifugio e gli offrì in sposa la figlia. Non era però quello il momento per fermarsi ad ammogliarsi; Guillet se la diede a gambe e dopo altre peripezie raggiunse lo Yemen. Qua fu sbattuto in cella a calci, accusato di essere una spia inglese. L’ Imam Yahiah, sovrano yemenita, s’incuriosì molto di quell’ospite delle galere locali, volle conoscerlo e rimase stregato dalle avventure dell’italiano. Il sovrano fu così colpito che lo ospitò per oltre un anno nella sua corte in qualità di Gran Maniscalco, precettore dei figli dell’Imam ed istruttore delle guardie a cavallo. Yahiah gli offrì di rimanere per sempre a corte ma Amedeo aveva l’Italia nel cuore e nel 1943 tornò in Patria. Alla fine della guerra divenne agente segreto, poi brillante diplomatico. E’ stato uno dei pochissimi ad essere insignito della Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia, la nostra massima onorificenza militare.

Ci sono alcune esistenze che si elevano al rango di romanzo d’avventura e la vita di Amedeo Guillet ne è la magnifica espressione; combattente generoso e leale, salì al rango di “Diavolo”, per via della sua fortunata inclinazione all’immortalità sul campo di battaglia. Galoppò con spada, pistola e bombe a mano. “Caricat!”

 FedericoMosso

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Alessandro Maldera

Giornalista, ha collaborato per molti anni con testate giornalistiche nazional e locali. Dal 2014 è il fondatore di mole24. Inoltre è docente di corsi di comunicazione web & marketing per enti e aziende